Tra le tradizioni natalizie sammarchesi e del Gargano in generale, vi è anche quella del “ceppone d’amore”, ma da moltissimi anni ormai non c’è più, neppure nel ricordo degli anziani. Ecco la storia, racconta dal volume di Giovanni Cammerino, Coppe della Rosedda, curato dal giornalista e scrittore Antonio Del Vecchio.
Quando si avvicinava il Natale, si pensava per prima cosa al “ceppone” da mettere nel camino. Quest’ultimo, per la sua mole, doveva essere capace di ardere per più di una notte. Il fine era quello di mantenere caldo l’ambiente, durante la Vigilia, in attesa della mezzanotte, allorché bisognava raggiungere la chiesa per assistere alla Santa Messa e al sacro rito della nascita di Gesù. Ma non si tratta solo di questo. Si racconta in paese che un tempo il ceppo o ceppone di Natale rappresentava qualcosa di più caro per i giovani e le giovane. Ci si riferisce ad un’usanza tramandataci probabilmente dai pastori abruzzesi e molisani. Le generazioni passate che vivevano sul Promontorio, compreso S.Marco, quando non avevano alti modi e mezzi di conoscenza per dichiarare il proprio amore per la ragazza preferita si servivano, infatti, del “ceppone”. Questo, raccolto e trasportato dal bosco, veniva depositato dietro la porta di casa, dove abitava la ragazza prescelta. Lui passeggiava o si nascondeva nelle vicinanze, in attesa che la porta venisse aperta. Se ciò accadeva e il dono era bene accetto, allora si faceva avanti la futura suocera che, piantatasi in mezzo alla strada chiedeva ad alta voce: Chi ha “incepponata” la figlia mia?
L’ho “incepponata” io, rispondeva il giovane. Se era di suo gradimento, la donna chiamava la figlia, che scrutava l’uomo da capo a piedi. Se era simpatico al primo esame, la giovane prendeva il “ceppone” e lo portava in casa. Tale gesto significava risposta affermativa. Per cui il “ceppone” non era considerato soltanto un pezzo di legna da ardere la notte d Natale, ma era anche un messaggero d’amore.
In caso contrario il “ceppone” restava fuori. Ciò significava indifferenza e rifiuto. Allora, il giovane deluso se lo ricaricava sulle spalle tutto rammaricato e si allontanava da quella casa, tra il mormorio del vicinato, che diceva così: “Non ce l’ha rimisse lu ceppone, mo ce lu porta alla casa. Povere gione!” (non ha prelevato il ceppone, ora se lo porta a casa. Povere giovane!”).
Racconto tratto dal volume di Giovanni Cammerino, Coppe della Rosella, a cura di Antonio Del Vecchio, Foggia, Studio Stampa, 1994, pp. 18 -20