La mattina del 31 ottobre, San Marco in Lamis si risvegliava avvolta da un’aria frizzante e profumata di castagne arrosto. Le strade erano decorate con foglie secche e rami di ulivo, segni di una tradizione che si ripeteva da secoli. Era il giorno di “Joje jè gnenzante”, un momento speciale in cui il passato e il presente si univano in un abbraccio caloroso.
I bambini del paese si riunirono in piccoli gruppi, i volti illuminati da un entusiasmo contagioso. Vestiti con maglioni caldi e sciarpe colorate, si preparavano a intraprendere una questua che avrebbe riempito le loro ceste di dolcetti e frutti di stagione. “Ricordate di cantare forte e chiaro!” esortò Laura, la più grande del gruppo. “Le nostre voci devono arrivare fin nelle case!”
Con cesti in mano e sorrisi a profusione, i piccoli vagabondi si avventurarono tra le strade acciottolate del paese. Bussarono alla prima porta, il cuore che batteva forte per l’emozione. “Clic! Clac!” suonarono i piccoli colpi di mano. Quando la porta si aprì, una dolce nonna apparve, i capelli grigi raccolti in uno chignon.
Gli occhi le brillavano come stelle quando iniziò a cantare insieme ai bambini:
“Joje è gne nzande e tutte lu sapite, purtame avande quiste figghje zite!”
Il canto risuonava nell’aria, mescolandosi al profumo di dolci appena sfornati. La nonna, commossa dal gesto, riempì i cesti di mele cotogne e fichi d’india, mentre i bambini sorridevano e ringraziavano. “E non dimenticate le caldarroste!” esclamò, lanciando un’occhiata al braciere che ardeva in giardino.
Il gruppo proseguì lungo le strade, fermandosi ad ogni porta, accumulando sempre più frutti e dolcetti. I sorrisi e le risate si mescolavano al profumo dell’autunno, mentre i ragazzi intonavano le loro filastrocche con fervore.
Ma quando giunsero alla casa di Don Francesco, l’atmosfera cambiò. Don Francesco era un uomo solitario, noto per il suo carattere burbero. Alcuni bambini lo evitavano, ma Laura decise che era il momento giusto per mostrare coraggio. Bussarono, e dopo un momento di silenzio, la porta si aprì con un cigolio.
“Che volete?” chiese Don Francesco, guardando i bambini con uno sguardo scettico.
“Signor Don Francesco, oggi è Tutti i Santi e cantiamo per le anime dei nostri cari!” rispose Laura, alzando la voce per esprimere la loro gioia. E così, iniziarono a cantare.
Il volto di Don Francesco si ammorbidì, e la sua espressione cambiò. Rimasero a guardarlo mentre la melodia riempiva l’aria. Infine, un sorriso si formò sulle sue labbra e, commosso, andò in cucina. Tornò con un sacchetto pieno di castagne calde. “Prendetele, ma portate un po’ di musica anche nei miei giorni solitari,” disse, la voce rotta dall’emozione.
La giornata proseguì tra risate e canti, i bambini che tornavano a casa con i cesti pieni e i cuori colmi di gioia. Quando il sole tramontò, si radunarono in una piazza illuminata da lanterne. L’aria era piena di fragranze delizie: le caldarroste scoppiettavano sul fuoco, e i dolci alle mele cotogne brillavano sotto il chiarore della luna.
In quel momento, la tradizione di “Joje je gnenzante” non era solo un ricordo del passato, ma un legame vivo tra generazioni. I bambini, con la loro innocenza e gioia, avevano dimostrato che, anche nei tempi moderni, c’è sempre spazio per la magia delle tradizioni.
E così, la festa continuò, unendo le anime dei vivi e dei morti in un canto eterno, celebrando la vita, l’amore e il ricordo di chi ci ha lasciato.